di Francesco Nacci.
Quando mi soffermo su alcune criticità del nostro Paese, quali l’impoverimento culturale, la conflittualità sociale, la destabilizzazione comportamentale dei giovani, la scomparsa di certezze punto di riferimento, la corrosione morale e la corruzione interrompo il lungo elenco e lo affido all’immaginazione del lettore. Poi rifletto sulle cause di tanto imbarbarimento sociale e morale. Certamente sono tante. Una ,però, tutti i giorni, a tutte le ore è rappresentata da alcuni programmi della televisione responsabili dell’impoverimento etico dei giovani. Sono i programmi ingannevoli e strappa lacrime dei vari Barbara D’urso, artefatti di Maria De Filippi. Illusori di Chiara Ferragni, di Alfonso Signorini e di tutta la schiera del Grande Fratello, di Alessia Marcuzzi e dell’Isola dei famosi programma ora condotto da Ilary Blasi. Essi, responsabili delle incertezze e della instabilità di questa prima parte del terzo millennio, contribuiscono alla scarsa presenza di valori e al forte dominio delle apparenze. In un’epoca in cui primeggia il dominio mediatico i cosiddetti programmi spazzatura diventano complici. Essi inoculano la convinzione che per realizzarsi bisogna poggiare tutto sull’apparenza. Un apparire caratterizzato dalla bellezza, dal consenso, dalle tendenze e non dall’essere. E questa, carta vincente oggi, attraversa l’attuale momento storico in cui sono venute meno le utopie e i progetti che raccontano la spinta progressiva. Sono venute meno alcune grandi narrazioni della tramontata modernità: quella hegeliana del cammino progressivo della storia verso l’attuazione della libertà; quella della sinistra hegeliana che assicurava l’emancipazione del proletariato attraverso la lotta di classe; quella del positivismo che assicurava l’emancipazione dell’uomo attraverso il progresso della scienza e della tecnica. Oggi, in pieno post-moderno, l’uomo non ha più fede nelle prospettive delle passate narrazioni. Le luci del proscenio si sono spente, i sogni della modernità si sono oscurati. Il progetto moderno, ovvero la realizzazione della universalità, si è infranto in molti tipi di distruzione. Auschwitz rappresenta l’incompiutezza tragica della modernità. Il muro di Berlino ha rappresentato la frantumazione di molti ideali della modernità, l’uomo ha perso la capacità di auto illudersi con ideologie redentrici. Sembra che si sia consumato un nuovo peccato originale. Il filosofo giapponese Takeshi Umehara definisce la cultura della modernità come una” filosofia della morte”. In questa perdurante realtà siamo assaliti da una serie di interrogativi. Che cosa fare? La scuola ,sentinella dei grandi cambiamenti, come si pone? Quali campi problematici occorre mettere a fuoco? Come inquadrare la condizione giovanile? La risposta a questi ed altri interrogativi la affidiamo agli studi socio-psico-pedagogici. T. Pezzano, pedagogista dell’Università della Calabria, è punta di diamante in questo settore. Ne sono prova i suoi studi su Maria Montessori. Il mio spazio si limita ai campi problematici su cui focalizzare l’attenzione: cultura dell’immagine e fine del dogma scientifico. Il culto del sapere-immagine rende difficile l’azione della scuola che ha il compito di trasformarlo in cultura riflessa e critica. Deve insegnare a selezionare, classificare, ordinare, interpretare confrontandosi con il fluido mondo delle immagini e con la fine del dogma scientifico. La scienza è considerata con sospetto. Vengono messi in discussione i principi che poggiavano sulla concezione galileiana. L’intera concezione della scienza viene scossa dalle teorie relativiste e quantistiche. La scuola è in affanno. Per la sua pesantezza stenta a competere con i rapidi e continui cambiamenti. Stenta a competere con le immagini che sono messaggi flessibili e immediati, stenta difronte alla melma che promana dagli studi televisivi.
Ne deriva che la maleducazione, l’ignoranza, la povertà morale e culturale si elevano a modelli di riconoscimento sociale. Modelli rappresentati da cafoni, maleducati, ignoranti acquistano fama e diventano punti di riferimento. Si tratta di soggetti privi di schemi culturali e di pensieri forti, deboli rispetto alla costruzione di progetti significativi. Nel futuro costruito giorno per giorno, prevale la dimensione dell’hic et nunc. Fortunatamente non è una realtà totalizzante. A me piace pensare a quei giovani di cui Aristotele parla nella Retorica. A quei giovani mutevoli ma inclini ai desideri, dalla volontà non forte ma ambiziosi, a quelli che compiono belle azioni perché immaginano che tutti sono onesti. A quelli che introversi e insicuri sono alla ricerca di identità, ribelli e a un tempo capaci di progettare teorie. I programmi spazzatura non sfiorano questa categoria di giovani che lancia un messaggio forte alla generazione adulta: ti qualifichi in rapporto all’attenzione che sai riservare alla generazione più giovane a prescindere dalle difficoltà dell’attuale tempo storico. Diversamente decreti il tuo fallimento.