Emanuele Vernavà , uomo di scuola, dopo una vita spesa per la formazione dei giovani, nel momento in cui lascia il servizio attivo ritenendo di avere ancora qualcosa da offrire, mette al torchio la propria esperienza di docente e di dirigente scolastico, la scalda con il fuoco della propria motivazione, la tempera nella spirale di una cultura solida ed essenziale, ottenendo un distillato di sapienza pedagogica che l’autore restituisce alla comunità perché la scuola si rigeneri e viva.
“La responsabilità di essere educatori” non è quindi il libro della nostalgia, che serve a soddisfare il bisogno di un Narciso invecchiato e cadente che recita l’elogio di rito per il proprio funerale. Al contrario in queste pagine c’è una severa, talvolta anche amara analisi sociale, alla quale l’autore anziché indulgere in uno stanco atteggiamento depressivo, reagisce con una forte e direi giovanile spinta progettuale. Egli infatti schizza con tratti essenziali , ma efficaci, il disegno di una nuova scuola alla quale affida il compito di formare uomini liberi in grado di porre un argine al declino della società occidentale che mette a rischio l’intera umanità.
Prerequisito fondante per il successo educativo è l’etica professionale dell’insegnante e la motivazione che lo guida nell’azione pedagogica. Vernavà propone una educazione centrata sull’alunno, che non deve essere formato, ma accompagnato in un processo educativo che lo vede protagonista. La mediazione culturale del docente gli partecipa la consapevolezza e la condivisione dei codici e dei diversi linguaggi in cui si articola e si organizza la cultura.
La cultura autentica è un ecosistema all’interno del quale la persona si struttura funzionalmente e vive creativamente, libera. Si tratta invece di cultura non autentica quel cumulo di nozioni che, incapaci di fare sistema, galleggiano come rifiuti in uno stagno maleodorante. Una giovane intelligenza che si alimenti in un ambiente così degradato non potrà esprimere alcuna capacità creativa e potrà al massimo essere funzionale ad un sistema autoritario di potere ove c’è spazio soltanto per attività servili che negano all’individuo ogni dignità e qualunque spazio di libertà.
L’autore annota inoltre come l’educazione è una funzione sociale e come tale impegna la comunità civile a mettere a disposizione della funzione educativa le migliori intelligenze selezionandole con attenzione, incentivandole adeguatamente e controllandone in maniera sistematica e coerente l’attività perché sia sempre all’altezza dei bisogni formativi dell’alunno. La comunità inoltre deve offrire alla scuola strutture funzionali alle diverse attività formative ed adeguata strumentazione didattica.
Questo libro in conclusione potrebbe essere utilizzato sul territorio per ravvivare un discorso pedagogico che in questi ultimi tempi si è un po’ spento in un clima di stanca rassegnazione.