La cripta della cattedrale di Acerenza, realizzata nel 1524 per il volere del Conte di Muro Lucano, Giacomo Alfonso Ferrillo, custodisce alcuni mascheroni metamorfici. Si tratta di una serie di volti i cui lineamenti si deformano e virano in forme animali o vegetali. I volti metamorfici hanno affascinato numerosi scrittori, poeti e artisti nel corso della storia. D’Annunzio nella lirica “La pioggia nel pineto” ci presenta il poeta e la sua donna (Ermione) mentre si lasciano trasportare dalle sensazioni del bosco e vi aderiscono al punto da fondersi con la natura. I loro volti, complice la pioggia, lentamente si vegetalizzano:p>
“piove sui nostri volti silvani”.
Alcune parti dei loro corpi assumono la consistenza degli elementi della natura,
“… e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre …”
finchè la donna si trasforma in una creatura arborea,
“… non bianca
ma quasi fatta virente
par da scorza tu esca…”.
Infine i due amanti completano la loro metamorfosi vegetale
“… il cuor nel petto è come una pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe…”.
Mentre nella lirica di D’Annunzio assistiamo a un lento processo di vegetalizzazione del volto, nel dipinto di Giuseppe Arcimboldo (1527 – 1593) così come in quest’altra maschera della cripta di Acerenza la metamorfosi si fa animale.
Una sogliola presta il suo corpo per formare la guancia del volto nel dipinto di Arcimboldo , un delfino spunta da un baffo nel mascherone di Acerenza.
Recentemente anche il cinema ha riproposto un suggestivo volto metamorfico animale. Nei film “Pirati dei Caraibi” la barba del protagonista è costituita da tentacoli di polpo.
Una forma estrema di fusione con la natura si sperimenta con la morte, in cui la dissoluzione della materia organica consegna alla terra le misere ossa.
Nella non lontana Altamura le viscere di una grotta, nel complesso di Lamalunga, hanno restituito un cranio di un uomo pre-neandertaliano che, sottoposto a secoli di carsismo, è stato ricoperto da concrezioni calcaree simili a minuscole stalagmiti.
Il risultato è un processo di metamorfosi minerale che avrebbe ben potuto ispirare Shakespeare il quale nella seconda scena del primo atto de “La tempesta” recita:
A cinque tese sott’acqua
tuo padre giace.
Già corallo son le sue ossa
ed i suoi occhi
perle.
Tutto ciò che di lui
deve perire
subisce una metamorfosi marina
in qualche cosa
di ricco e strano.
La cattedrale di Acerenza in passato ha custodito un altro volto metamorfico. Si tratta del mascherone scolpito sulla spalla sinistra di un busto lapideo attribuito dal Lenormant all’imperatore Giuliano l’Apostata.
Il busto, ora custodito nel locale museo diocesano, fu notato per la prima volta sul pinnacolo della Cattedrale nel 1882 mentre é ancora dibattuta l’attribuzione e l’epoca di collocazione sulla sommità della Cattedrale. Nella maschera alcuni tratti del volto evolvono in forme vegetali: il mento assume le sembianze di una foglia, dalle guance spuntano racemi mentre la fronte è come coronata dai petali di un fiore. Nel libro “Scultura antica e reimpiego in Italia Meridionale” di Luigi Todisco si confronta questa maschera coi mascheroni rinascimentali rilevando alcune analogie: “ricorrono sia il medesimo coronamento a corolla della fronte sia l’elaborazione delle guance e del mento, rispettivamente a forma di lunghi racemi e di foglia triartita”. L’ulteriore comparazione tra i “riccioli ad uncino” della capigliatura degli angeli posti ai lati della nicchia che ospita il sarcofago di Ferrillo e i riccioli di simile morfologia della barba del busto, ha indotto l’autore della pubblicazione a ipotizzare che il busto in oggetto fosse di origine rinascimentale e che raffigurasse proprio il conte Giacomo Alfonso Ferrillo. Pina Belli D’Elia e Clara Gelao nel libro “La Cattedrale di Acerenza” tornano sull’argomento ipotizzando invece che il mascherone sia il frutto di un “aggiustamento rinascimentale” di un busto più antico.
Le maschere metamorfiche si ritrovano già in epoca imperiale come dimostra questa foto che ritrae una “maschera d’acanto” scolpita nel contesto di un capitello rinvenuto negli scavi del teatro romano di Hierapolis in Frigia.
Nel capitello il mascherone raffigura una testa di divinità, con barba e capelli trasformati in foglie d’acanto. In queste maschere, rinvenute anche in altri siti di origine romana presso templi dedicati agli imperatori, il ricorrere dell’associazione dell’acanto alla figura di Apollo alludeva all’immortalità e aveva quindi la funzione di esaltare il potere dell’imperatore.
Angelo Schiavone
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Questo contributo del dott. Schiavone apre un’interessante prospettiva di studio per tutto il corredo decorativo presente nella nostra cattedrale. Sembra inoltre rafforzata anche l’attribuzione del busto di Acerenza a Giuliano l’Apostata che era stata messa in discussione con argomentazioni diverse da autorevoli studiosi. Le osservazioni molto puntuali e pertinenti del dott. Schiavone sono confermate anche dalle iscrizioni lapidee che si riferiscono con chiarezza all’imperatore Giuliano. Inoltre sulla parete esterna del campanile sono state incastonate chiare tracce di un rito sacrificale pagano che fanno pensare alla preesistenza di un luogo di culto forse riconducibile alla restaurazione giulianea.
C’è insomma spazio per ulteriori ricerche ed approfondimenti. Il mio più vivo ringraziamento al dott. Angelo Schiavone per questi preziosi ed originali contributi che ci stimolano alla tutela ed allo studio del nostro patrimonio artistico e storico.