Continue e sorprendenti le scoperte degli ultimi anni nel campo delle neuroscienze
La biologia ci insegna che il corpo sin dal concepimento è sottoposto a continue trasformazioni che hanno termine con la morte. Sappiamo poi che la metamorfosi continua dopo il termine della vita attraverso fenomeni complessi studiati dalla Tanatologia, una branca della medicina legale.
Questo
concetto è sedimentato nella nostra cultura tanto che fu ripreso da
Josef Ratzinger, quando era ancora cardinale, in una celebre omelia
pronunciata nella Cattedrale di Monaco di Baviera.
Il futuro Papa in quel contesto pronunciò le seguenti parole: “… quella che noi indichiamo come Trasfigurazione è chiamata nel greco del Nuovo Testamento metamorfosi (“trasformazione”), e questo fa emergere un fatto importante: la trasformazione non è qualcosa di molto lontano, che in prospettiva può accadere. Nel Cristo trasfigurato si rileva molto di più ciò che è la fede: trasformazione che nell’uomo avviene nel corso di tutta la vita. Dal punto di vista biologico la vita è una metamorfosi, una trasformazione perenne che si conclude con la morte. Il racconto della trasfigurazione del signore vi aggiunge qualcosa di nuovo: morire significa risorgere”.
Le continue e sorprendenti scoperte degli ultimi anni nel campo delle neuroscienze ci hanno riservato una sorpresa che avrà delle ricadute nella ricerca delle malattie neurodegenerative quali l’Alzheimer e il Parkinson ma che riaprirà anche il dibattito su temi etici e religiosi che riguardano il concetto di morte.
In uno studio pubblicato il 23 marzo 2021 sulla rivista Nature – Scientific Reports[1]i ricercatori hanno dimostrato che le cellule gliali del nostro tessuto cerebrale alcune ore dopo la morte cominciano a crescere proiettando lunghe appendici simili a braccia. Questa scoperta, tutta da interpretare, sicuramente imporrà una rivalutazione della maggior parte degli studi sin ora condotti in cui si presume che tutto nel cervello si ferma quando il cuore smette di battere. In particolare lo studio ha dimostrato che i geni di queste cellule aumentano la loro “espressione” dopo la morte tanto da acquisire la denominazione giornalistica di “geni zombie”.
Ovviamente il processo si attiva per un periodo limitato di ore e può essere interpretato come un tentativo estremo operato dalle cellule gliali di ripulire il tessuto cerebrale dai neuroni ormai morti.
A 70 anni dalla scoperta del nerve growth factor (NGF),
il fattore di crescita nervoso scoperto dalla ricercatrice italiana
Rita Levi Montalcini, il cervello continua a stupirci.
Quando nel 1986 alla professoressa Montalcini fu conferito il premio Nobel per la medicina i libri di testo universitari accennavano appena alle possibilità plastiche del cervello fino ad allora considerato come organo stabile, incapace di rimodellarsi o addirittura di autorigenerarsi come il fegato. Le nuove acquisizioni in tema di neuroscienze ci descrivono invece un cervello dinamico che attiva le sue cellule gliali anche dopo la morte.
Sarà questo un segno della rinascita che ci preannuncia la Pasqua?