Per una nuova interpretazione del complesso iconografico del portale della Cattedrale di Acerenza
Chiunque si avvicini al portale della Cattedrale di Acerenza rimane stupito di fronte ad un imponente complesso iconografico che nel tempo è stato dai critici diversamente interpretato. Luisa De Rosa nel 1999 lamenta che l’interessante sistema iconografico non è stato sufficientemente studiato a causa della sua difficile interpretazione dovuta fondamentalmente al contesto religioso dell’opera che stride con il contenuto delle immagini rappresentate. Il critico, rimanendo comunque nella scia delle letture precedenti, le interpreta come una rappresentazione del peccato e del vizio che bisogna lasciare alle spalle per predisporsi ad entrare nel luogo sacro. Si tratta di una lettura debole sia sotto il profilo teologico che sotto il profilo morale. Il vizio non è un ombrello che si lascia fuori della porta quando si entra in chiesa per riprenderlo non appena se ne esce, né si può intendere la santità come un abito che si indossa nel luogo sacro per dismetterlo all’uscita. Margherita Pasquale nel 2008 avverte che il portale di Acerenza è stato eretto nel XII secolo utilizzando un codice di comunicazione che i fedeli nel medioevo conoscevano bene. La funzione delle immagini sacre era quella di edificare il popolo con un preciso messaggio pastorale che veniva definito accuratamente dal committente. Il problema è che noi oggi ci sforziamo di decodificarlo utilizzando i nostri attuali codici di comunicazione figurativa. La lettura di questi corpi iconografici risulta ambivalente perché le allegorie, collegate alla dimensione sessuale, oggi vengono lette come espressione dell’amore mondano mentre erano state codificate come espressione dell’amore cristiano con una precisa valenza di elevazione spirituale.
E’ necessario dunque decodificare il linguaggio allegorico recuperando i codici utilizzati all’epoca; la grammatica e la sintassi di tale linguaggio è il cosiddetto bestiario medievale .
La composizione presenta in prima evidenza al visitatore due gruppi scultorei poggiati su due mensole. Quello di destra è ancora leggibile, quello di sinistra è deteriorato dall’erosione del tempo e risulta ormai di difficile lettura.
Il gruppo di destra è formato da un leone che abbraccia una donna la quale non appare atterrita ma si offre con fiducia alle attenzioni del partner. Nella parte posteriore della scultura la donna mostra le sue intimità che l’artista cura di mettere in chiara evidenza. Questo gruppo scultoreo provocò la stupita reazione del Lenormant che lo definì di incredibile oscenità.
Dal bestiario ricaviamo l’informazione che la leonessa partorisce figli inanimati. La madre li custodisce amorevolmente per due giorni, al terzo giorno interviene il leone per risvegliare i cuccioli e prendersene cura.
Oggi sappiamo che queste informazioni sono destituite di fondamento scientifico, ma all’epoca costituivano l’informazione naturalistica che tutti accettavano come vera. Su questa informazione si organizzano i significati allegorici attinti dai libri sacri. La leonessa rappresenta Eva che partorisce figli morti alla vita spirituale per effetto del peccato originale. Il leone è Cristo che con la sua morte espia il peccato e dopo tre giorni risorge restaurando la condizione di grazia per gli uomini che vengono rigenerati alla vita. La donna fra le braccia del leone è la Chiesa che si fonda appunto sulla morte e resurrezione di Cristo. L’evidenziazione del sesso della donna è simbolo della fecondità della Chiesa, nuova Eva, madre di tutti i credenti.
Il tenero abbraccio non evoca un amplesso ma è un chiaro riferimento all’amore vicendevole che lega Cristo alla Chiesa e la Chiesa a Cristo.
Le due colonnine marmoree che si elevano sopra i gruppi scultorei simboleggiano, secondo l’antica cosmogonia, l’albero padre che si eleva a reggere il cielo. Al di sopra delle colonnine abbiamo due angeli che fungono da capitello sui quali si appoggia un timpano cuspidato di cui sono rimasti soltanto i conci di imposta e due angeli.
Gli stipiti sono formati di conci di pietra lavorati sia nella facciata interna che nella facciata frontale e presentano una scena di vendemmia che richiama la generosità con cui la terra risponde alle cure dell’uomo gratificandolo di frutti abbondanti. Vi sono poi rigogliosi motivi floreali e decorazioni riconducibili all’intreccio di vimini. Nell’insieme testimoniano la bellezza e la ricchezza di tutto ciò che Dio ha creato e dei manufatti dell’uomo, il quale, strutturato ad immagine del Creatore, con l’opera delle sue mani, si prende cura della natura. L’ottimismo che promana da queste immagini ha un chiaro fondamento teologico in quanto la redenzione riscatta dal peccato, dalla sofferenza e dalla morte non solo l’uomo ma tutto il creato e rimanda, in una prospettiva escatologica, alla terra promessa. In cima al portale nel punto più alto dell’archivolto due uomini piegano i racemi in modo da formare le lettere Alfa e Omega, la sigla di Cristo principio e compimento di tutte le cose. A destra ed a sinistra un centauro ed un grifo, animale fantastico metà aquila e metà leone. Il centauro, maestro di eroi, rappresenta la sapiente guida della chiesa madre e maestra. Il grifo rappresenta l’intima unione con Cristo. Maria-Chiesa evocata dall’aquila schiaccia il serpente e, come è detto nel canto di Mosè nel Deuteronomio , educa i suoi figli a spiccare il volo verso il cielo.
Non sappiamo cosa ci fosse alla sommità del timpano cuspidato, ma ciò che è rimasto è sufficiente per configurare non solo un invito all’ascesi ma anche la funzione del cristiano che è chiamato a rendere presente Cristo nella storia. Sull’archivolto infatti all’apice dell’arco sono due uomini nudi, che compongono con l’opera delle loro mani la sigla di Cristo Alfa e Omega. Le vesti identificano l’uomo nella sua professione e nello status sociale. L’uomo rappresentato nudo prescinde da quale ruolo egli svolga nella società o nella chiesa e comprende tutti gli uomini che in quanto tali sono chiamati a plasmare il mondo secondo il volto di Cristo.
“Il creato esulta e tripudia intorno a Cristo che sacralizza la composizione conferendole – spiega Margherita Pasquale – i connotati di una vera e propria liturgia cosmica”.
Questa gioia e questo tripudio rendono bene l’irresistibile forza di attrazione dell’amore di Dio per gli uomini e lo struggente desiderio di cielo che l’uomo avverte nelle pieghe della sua anima. E’ questa la dinamica dell’eros di cui parla Benedetto XVI nell’enciclica “Deus Charitas est”.
Posto all’ingresso del tempio questo messaggio stabilisce non una cesura tra l’interno della Cattedrale e l’esterno come propone Luisa De Rosa, ma una profonda complementarità funzionale tra i due momenti.
Il cristiano entra nella casa di Dio mosso da un amore ascendente , per sperimentare con lo spezzare del pane, la gioia dell’agape e dopo aver vissuto un momento di intensa intimità con Cristo e con i fratelli, esce, ritorna sulle vie del mondo per invitare tutti gli uomini alla festa nuziale dello sposo.
Donato Pepe
Leggo e rileggo stupito, preso da tanta allegoria e bellezza.
Poserò gli occhi con ammirata attenzione quando ritornerò ad Acerenza…
A te, Donato, un grazie di cuore.