E’ stato dimostrato che il lato sinistro del volto mostra più intensamente le emozioni rispetto al controlaterale come evidenziato da una ricerca condotta presso l’Università di Melbourne su 1500 quadri del Cinquecento e del Seicento. I ricercatori Australiani hanno rilevato che il 68 % delle donne aveva esposto al ritrattista il profilo sinistro, quindi la parte del viso controllata dall’emisfero cerebrale destro responsabile della gestione delle emozioni.
Non solo il viso ma tutto il corpo concorre a comunicare le emozioni. Esistono gesti che possono esprimere stati emotivi specifici: stringere i pugni e battere uno o entrambi i piedi in segno di rabbia, coprirsi il volto con la mano per la vergogna.
Nel saggio “Il Mosè di Michelangelo” Freud analizzò il gesto della collera trattenuta.
Scoprendo gli ebrei nell’atto di adorare il vitello d’oro Mosè, colto da un moto di rabbia, sta per levarsi al fine di castigare il suo popolo, ma domina la collera per non far cadere le tavole della legge.
A volte però le emozioni sfuggono al controllo della ragione provocando, in soggetti predisposti, disturbi neurologici o psichiatrici. E’ descritto col termine di “sindrome di Stendhal” il malessere che colpisce alcuni turisti mentre contemplano un’opera d’arte. Di questo disturbo psichico patirono turisti famosi come lo stesso Stendhal, che ne fu protagonista nel corso della sua visita alla Basilica di Santa Croce e ne annotò i sintomi nei suoi diari.
Di emozioni ci si può ammalare, lo sapeva bene il Boccaccio (1313-1375) che nel Decamerone, alla novella VIII della seconda giornata, descrisse la grave infermità di un giovanotto alle prese con un amore impossibile. Solo il brillante intervento di un giovane medico, accortosi che il battito del polso accelerava alla vista della fanciulla amata, permise di diagnosticare il mal d’amore.
“Aveva la gentil donna, colla quale la Giannetta dimorava, un solo figliuolo… Il quale, avendo forse sei anni più che la Giannetta, e lei veggendo bellissima e graziosa, sì forte di lei s’innamorò… egli imaginava lei di bassa condizion dovere essere, non solamente non ardiva addomandarla al padre e alla madre per moglie… il suo amore teneva nascoso…. egli infermò, e gravemente. Alla cura del quale essendo più medici richiesti, e avendo un segno e altro guardato di lui e non potendo la sua infermità tanto conoscere, tutti comunemente si disperavano della sua salute… sedendosi appresso di lui un medico assai giovane, ma in scienzia profondo molto, e lui per lo braccio tenendo in quella parte dove essi cercano il polso, la Giannetta, la quale, per rispetto della madre di lui, lui sollicitamente serviva, per alcuna cagione entrò nella camera nella quale il giovane giacea. La quale come il giovane vide, senza alcuna parola o atto fare, sentì con più forza nel cuore l’amoroso ardore, per che il polso più forte cominciò a battergli che l’usato; il che il medico sentì incontanente e maravigliossi, e stette cheto per vedere quanto questo battimento dovesse durare. Come la Giannetta uscì dalla camera, e il battimento ristette; per che parte parve al medico avere della cagione della infermità del giovane; e stato alquanto, quasi d’alcuna cosa volesse la Giannetta addomandare, sempre tenendo per lo braccio lo ‘nfermo, la si fè chiamare. Al quale ella venne incontanente; né prima nella camera entrò, che ‘l battimento del polso ritornò al giovane; e lei partita, cessò. Laonde, parendo al medico avere assai piena certezza, levatosi e tratti da parte il padre e la madre del giovane, disse loro: la sanità del vostro figliuolo non è nello aiuto de’ medici, ma nelle mani della Giannetta …”.
Ma già mille anni prima Giuliano l’Apostata (331 d.c. – 363 d.c.) nel testo satirico ”Odiatore della Barba”, scritto al fine di difendere il proprio operato dopo essere stato malamente accolto dalla città di Antiochia, raccontò un episodio del tutto simile.
“Benei, si narra che un tempo il re eponimo di questa città… finì per concepire un’illecita passione per la propria matrigna; egli desiderava tenere segreti i suoi sentimenti, ma non vi riusciva: il suo corpo, consumandosi a poco a poco, andava misteriosamente deperendo, se forze de ne andavano e il respiro era più debole del solito. La faccenda, direi, somigliava a un enigma, perché la causa della malattia restava oscura – o, piuttosto, non era chiaro nemmeno di che malattia si trattasse – eppure lo stato di prostrazione fisica del giovane era noto a tutti. Un arduo compito, a questo punto, fu affidato al medico di Samo: scoprire la natura della malattia. Questi… si sedette dunque vicino al letto osservando il volto del giovane, poi ordinò che si facessero avanti dei bei ragazzi e delle belle donne, cominciando proprio dalla regina; non appena ella avanzò, con il pretesto di fargli visita, subito il giovane manifestò i sintomi della malattia: ansimava come se stesse soffocando – e, infatti, pur desiderandolo con tutto se stesso, non riusciva a contenere l’agitazione – il respiro era stravolto e un rossore intenso dilagava sul suo viso. Vedendo tutto questo, il medico gli pose la mano sul petto: il cuore gli pulsava spaventosamente, come fosse sul punto di schizzar fuori. Questo, dunque, è quanto egli provava in presenza della regina; quando però ella fu uscita, ed entrarono altre persone, egli restò tranquillo, e mantenne un contegno simile a quello di una persona sana. Dunque Erasistrato – così si chiamava il medico – intuita la malattia, la rivelò al re…”
Ancor prima dell’imperatore filosofo la poetessa Saffo (640 a.C. -570 a.C.) nella seguente lirica descrisse, con la precisione di un clinico, il profondo turbamento indotto dalla visione dell’amata, i sintomi correlati al vissuto emotivo e la successiva sincope.
“A me pare uguale agli dèi
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
si perde nella lingua inerte.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue nelle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente
Al pari del sentimento amoroso anche il fervore religioso può essere vissuto con tale intensità emotiva da creare condizioni destabilizzanti per i meccanismi psicologici che mantengono lo stato ordinario di coscienza.
Tale stato psichico è definito estasi: dal greco ”essere fuori di sé . E’ una condizione di sospensione dell’esperienza comune, propria dell’atteggiamento mistico, il quale si concentra esclusivamente su un oggetto soprannaturale di natura divina.
L’estasi è stata frequentemente rappresentata nell’arte antica. Famosissima è la scultura del Bernini transverberazione di Santa Teresa sita nella cappella Cornaro di Santamaria della Vittoria a Roma che rappresenta Santa Teresa nel momento di massima sublimazione della gloria celeste.
La Santa soffriva di svenimenti improvvisi, “sovente i muscoli le si contraevano a tal punto da farla arrotolare come un gomitolo e il suo corpo si irrigidiva per ore nella medesima posizione; era disgustata da qualsiasi cibo e rimetteva quasi tutto quello che ingeriva”.
La psicologia considera l’estasi come fenomeno psichico contraddistinto da un apparente stato di torpore e da immobilità fisica e sensitiva. Il soggetto è estraniato dal mondo che lo circonda, assorto in un’esperienza relazionale trascendente.
Bibliografia
– D’Urso V. Trentin R. “Psicologia delle emozioni” Il Mulino eds. 1988.
– Freud Sigmund “Der Moses des Michelangelo” pubblicato per la prima volta in Imago, 3, 1914.
– Magherini G. “La sindrome di Stendhal”. Universale economica Feltrinelli eds 1992.
– Boccaccio Giovanni. “Decameron” Einaudi – tascabili classici.
– Giuliano L’Apostata. “L’odiatore della Barba”. Archinto eds.2008.
– Saffo. Liriche e frammenti. Feltrinelli – collana Universale Economica.
– Fachinelli E. “La mente estatica” Adelphi eds 1989.