LA SFINGE DI TEBE.
Un antico adagio sconsiglia la comunicazione per concentrare tutte le proprie energie nell’azione. In realtà il sistema pensiero-azione è un processo che implica il passaggio da una fase ideativa, che impegna il pensiero, ad una fase attuativa, che impegna il corpo nell’agire. Porre un punto di domanda in attesa della risposta, equivale a bloccare con uno stop il dinamismo pensiero-azione.
L’archivolto della Cattedrale di Acerenza é decorato con figure umane nude dalla cui bocca escono racemi vegetali che rappresentano la parola elemento sul quale si organizza la comunicazione funzionale all’organizzazione dell’attività produttiva, della cooperazione e dell’organizzazione sociale nonché del raccordo fra gli uomini e Dio. Sulla parte più alta dell’archivolto la parola si articola in narrazione complessa con puntuali citazioni mitologiche, la sirena bicaudata, il centauro, l’uomo con il corpo di leone a rappresentare il fascino della forza e della potenza virile e poi il tripudio di una festa nuziale con danzatrici e musici. Una chiara citazione del Cantico dei Cantici come anticipazione profetica dell’Evangelii Gaudium di Papa Francesco .
Fanno corona al portale due colonne appoggiate su due gruppi scultorei che reggono un arco a tutto tondo. Il capitello delle due colonne rappresenta una creatura ibrida secondo l’iconografia greca della sfinge di Tebe.
Il mito della sfinge nasce in Egitto a simboleggiare il potere e la nobiltà del Faraone, ha le ali d’uccello che gli consente di librarsi nel cielo con la leggerezza di un dio, il corpo di leone che gli attribuisce coraggio e forza per primeggiare fra gli uomini, il viso di donna che gli riconosce avvenenza e seduzione.
Nell’immaginario della cultura greca la sfinge diviene una enigmatica creatura che interroga l’uomo sul suo destino, sulla vana ricerca del potere, sulla fragilità e brevità di una esistenza che inizia e si conclude nel breve spazio di un giorno.
CRISTO E LA SFINGE
Un giorno Romeo de Maio, professore universitario a Napoli, passando davanti alla Cattedrale di Acerenza vide la sfinge, un’icona che gli era familiare perché la incontrava tutte le mattine all’ingresso della sua università. Lì la sfinge simboleggiava il dinamismo della scienza impegnata a dipanare il mistero della vita e della morte. Come può una sfinge reggere il cielo incastonata nell’iconografia di una cattedrale medioevale? rimase stupito a tal punto che dopo dieci anni di viaggi in oriente ed in occidente ed impegnative ricerche bibliografiche pubblicò un libro dal titolo “Cristo e la sfinge”. L’autore affronta l’argomento con un profilo multidisciplinare e ci introduce nel mistero della sfinge indagandone le origini, il significato soprattutto nel suggestivo rapporto con la figura di Gesù. La Sfinge infatti affianca i grandi miti del potere e si intreccia non solo con la figure di Adamo, Mosè, Erode, Augusto e Costantino. I grandi miti non sono comprensibili nel quadro, per quanto suggestivo e complesso delle scienze umane, ma vanno indagati e compresi nel quadro di una antropologia che si apre e si lascia attraversare da una visione sapienziale nella fede altrimenti lo sbocco leopardiano è invitabile.
« Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri, Che dell’esser mio frale,
Qualche bene o contento Avrà fors’altri; a me la vita è male »
IL MITO DEL SAPERE/E DEL POTERE DELL’UOMO
L’uomo creato ad immagine di Dio Creatore è in grado di costruire attingendo a livelli di efficienza e di produttività sempre più elevati con il costante progresso delle scienze dell’organizzazione e della docimologia che gli consente di valutare ed attingere a livelli di efficienza produttiva sempre più elevati.
Chi può ragionevolmente non riconoscere l’efficienza dei nuovi sistemi di comunicazione sociale, l’illimitato potere economico delle banche e il potere deterrente degli armamenti nucleari? Tuttavia si impone una domanda: l’uomo è oggi davvero libero? La società é più giusta? Le prospettive della pace sono sicure?
In realtà persino Cristo nasce nel disagio e nella sofferenza e chiude la propria esperienza di vita sull’umiliante patibolo di una croce.
IL LIVELLO SAPIENZIALE DELL’AMORE DI DIO
La sacra scrittura ci ha ammonito che per quanto l’uomo possa costruire una torre di Babele sempre più alta con tecnologie sempre più efficienti ed ardite non riuscirà mai a raggiungere il cielo .
Ciò però non ci autorizza a pensare che l’uomo sia condannato a rimanere prigioniero della sua finitudine e alla sistematica frustrazione delle sue aspirazioni come nel mito di Sisifo.
Cristo infatti, nuovo Prometeo, ha rivelato all’uomo le prospettive infinite della sapienza di Dio perché egli possa elevarsi dal piano logico del sapere scientifico al piano sapienziale più alto quello dell’Amore di Dio.
Un altro adagio altrettanto antico sconsiglia l’ingresso in un luogo sacro a chi non sa e/o non ama porsi delle domande “Non entri chi non é geometra“.
Secondo Maritain due soli sono i campi di indagine onesti e leali intorno all’uomo, quello scientifico a patto che ci si muova nell’ambito delle conoscenze sperimentalmente verificabili e quello filosofico-religioso che indaga la dimensione ontologica dell’essere, la ricerca di senso dell’esistenza umana. Dopo questa citazione erudita e forse anche frettolosa non sappiamo molto di più sull’uomo né abbiamo capito se la sua esistenza abbia un senso e soprattutto se valga la pena viverla.
Ma, incurante di questa mia irriverente ironia, Maritain sembra invitarmi ad entrare in cattedrale anche se non sono un geometra . Nella cripta mi mostra un bassorilievo ai piedi di una colonna che rappresenta due uomini di cui il più piccolo é in piedi sulle spalle dell’altro e regge un ricco cesto pieno di frutta. Ѐ la traduzione iconografica del pensiero di Bertrand de Chartre un filosofo del 1300 che avrebbe ispirato Pico della Mirandola nel momento in cui scriveva il manifesto dell’umanesimo “De hominis dignitade”. Bertrand afferma che, dal punto di vista strettamente individuale, l’uomo sarebbe poca cosa, un nano, la sua dignità e grandezza gli deriverebbe dalla sua condizione: trovarsi eretto sulle spalle di un gigante. In quanto tale beneficia della cultura, della tradizione, e della tecnologia ereditata dagli avi, i giganti appunto.
Questa icona potrebbe anche rappresentare il peccato originale. L’aspirazione dell’uomo che, in forza del progressivo strutturarsi della cultura scientifica e della tecnologia, vuole diventare sempre più grande e più potente fino ad attribuire a se stesso l’onnipotenza di Dio. La Sacra Scrittura stigmatizza come peccato nell’episodio della torre di Babele non la cultura o la tecnologia ma la presunzione di chi non riconduce a Dio la sua aspirazione al Bene riconoscendola invece come propria naturale prerogativa. L’errore (peccato) consiste nel considerare come icona esclusiva della propria dignità ciò che non gli appartiene ma che gli è stato dato come dono. Ciò che mi é dato come dono non é posseduto da me in esclusiva ma goduto in condivisione, di qui il concetto di Comunione. Fare comunione non significa perdere l’identità dell’io ma accedere alla identità del noi cioè espandere l’io esponenzialmente nel noi. Un noi che é inclusione, che tende a ridurre ad unum, questa é la specificità essenziale della persona umana che creata ad immagine e somiglianza di Dio non può escludere l’Altro dalla propria vita.
Bello! forse! In queste espressioni c’é tutto il fascino dei grandi templi, dell’equilibrio dell’arte e del pensiero sociale dell’antica Grecia. Qui c’é tutto il fascino del canto della Sirena ma quando queste parole non sono illuminate da una fede matura, hanno il sapore acerbo della retorica. Nella mia limitata intelligenza spirituale non mi sento appagato e con questo senso di disagio mi aggiro nel deambulatorio della Cattedrale come nel labirinto di Cnosso alla ricerca del filo di Arianna. Sotto l’altare di San Canio, Vescovo e Martire, c’é un pezzo di legno, la gente dice che sia il bastone di San Canio. Ѐ protetto da un lucchetto come a negarlo alla devozione dei fedeli, escluderlo dalla comunione ecclesiale.
Sto vaneggiando: come può un pezzo di legno partecipare della comunione ecclesiale? Forse quel pezzo di legno, pur rimanendo tale, assurge al valore di segno appunto come il filo di Arianna. Il bastone di un vescovo é il segno della funzione di guida del popolo di Dio, del suo insegnamento, ma soprattutto il pastorale é l’icona del suo prendersi cura della porzione di Chiesa che gli é stata affidata; e questo prendersi cura consiste soprattutto nel curare che questa porzione di Chiesa locale sia in comunione con la Chiesa universale. Ogni distinguo come ogni dubium é legittimo nel momento in cui si pone a fondamento del discernimento e dello sviluppo del pensiero umano ma é disfunzionale nel momento in cui si pone come ostacolo all’affidarsi dell’uomo alla superiore comprensione di se che si ottiene se ci si lascia fecondare dalla sapienza di Dio.
In una cattedrale, luogo della Chiesa istituzionale, il pastorale potrebbe suggerire di affidarsi al Magistero per sperimentare il significato autentico della Comunione ecclesiale. Ecco questa riflessione che mi nasce nel clima della cattedrale mi apre una pista di ricerca interessante.
LA COMUNIONE ECCLESIALE
L’Antico Testamento narra di un Dio che, fedele al suo patto di alleanza con Noè e con tutta la terra , si prende cura della sua vigna (Is 5:1-5, Sl 80, Ez 19:10). Il popolo d’Israele però eredita da Adamo una profonda ferita che non gli consente di mantener fede all’alleanza con Dio.
Il Nuovo Testamento é il racconto della Nuova Alleanza che si realizza con la morte di Gesù in Croce e la sua resurrezione. Nel Vangelo di Giovanni Dio é ancora il Viticultore ma la vite é Gesù e la vigna é la Chiesa che sarà feconda di molto frutto perché il Viticultore si prenderà cura della sua vigna. Taglierà i tralci che non portano frutto e monderà i tralci che portano frutto perché portino più frutto.
La garanzia della produttività della Chiesa, che cammina nella storia degli uomini, é dunque affidata alla cura del Viticultore (Dio Padre), alla vitalità della Vite (il Figlio), ed alla comunione (Spirito Santo) in Cristo dei suoi tralci (gli Apostoli).
La Comunione ecclesiale é feconda perché Dio Padre ha piantato nella storia degli uomini suo Figlio come vite feconda di molto frutto, ha mandato lo Spirito Santo sugli apostoli perché si prendano cura di mondare i tralci perché diano molto frutto.
Anche gli Apostoli, sono uomini e sentono il peso della propria finitudine. Ciononostante in forza della loro fede e grazie all’assistenza dello Spirito Santo con la loro parola (magistero) e con la loro testimonianza guidano la barca di Pietro sulla Via, verso la Verità, ed alimentano con il Corpo ed il Sangue di Cristo, la sua Vita perché la Chiesa possa camminare verso la Gerusalemme celeste nonostante le difficoltà e le insidie del mondo.
Anche le braccia degli Apostoli come quelle di Mosè (Es 17,8-16) diventano talora pesanti, e la loro fede, come accadde a Pietro sul lago di Tiberiade, vacilla così anche la Chiesa può sperimentare momenti di debolezza, perciò per sostenere la fede di Pietro e tenere alte le braccia degli apostoli tutta la Chiesa costantemente prega per il papa, si prende cura dei vescovi e dei i presbiteri e lo fa nella carità di Cristo. Questa a me pare è la Comunione ecclesiale.
IL PASTORALE RIMANDA AL MAGISTERO
San Giovanni Paolo II fonda nell’esperienza di comunione tra un uomo ed una donna l’esperienza della famiglia come icona della santissima Trinità. Egli parla di teologia del corpo nel senso che l’uomo é stato creato da Dio come maschio e femmina perché complementari nell’amore siano fecondi e ricevano in dono dei figli. Questi, educati nella fede, saranno presentati al Tempio, e con il Battesimo diventeranno figli ed alimentati dalla santa madre Chiesa con la comunione in Cristo. Poi, attraverso un fecondo cammino vocazionale, essi saranno affidati a Dio, come Isacco viene offerto a Dio dal Padre Abramo, perché lo Spirito Santo li edifichi come Chiesa, Sacramento di Cristo nella storia .
Papa Benedetto XVI apre il suo pontificato con una enciclica che forse meritava maggiore attenzione: Deus Caritas est. Ratzingher ci spiega che Dio é amore e che l’amore, come la scala di Giacobbe, ha una dimensione ascendente e una dimensione discendente. Nella nostra finitudine noi non possiamo arrivare a Dio sulla scala ascendente per via logica e nemmeno utilizzando qualunque algoritmo scientifico, qualunque progetto per quanto accuratamente strutturato.
In questo senso ci ammonisce la Sacra Scrittura non possiamo ascendere fino a Dio né per via logica né per via tecnologica (Torre di Babele, Gen 11-1,9). Non possiamo raggiungere Dio in nessuno spazio materiale. Dio non vive in una dimensione materiale ma é. Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui a cui il Figlio lo rivela. (Matt 11-25,27). Questo ci dice Gesù quando afferma di se stesso io sono la via e non c’è n’é altra. Ѐ fallace dunque l’eros che promette di farci sperimentare il Bene attraverso l’estasi dei sensi. Ѐ fallace anche la philia che eleva un’altra creatura umana fino a riconoscere in lei il sommo bene. Ѐ una forma di idolatria. Gesù ci dice che dove due persone si riuniscono nel suo nome Egli è presente tra di loro. Questa annotazione é fondativa sia per la comunione sponsale che per la comunione ecclesiale. La Comunione, nel primo caso come nel secondo, é autentica solo se fa riferimento a Cristo in quanto la Famiglia come la Chiesa sono Sacramento di Cristo.
Papa Benedetto XVI ci dice che l’eros e la philia, che Dio riconobbe dopo la creazione come cose buone, sono tuttavia fallaci nel momento in cui si propongono come via ascendente per salire, salire, essere di più. Dobbiamo allora tentare di capire in cosa consiste l’amore discendente di cui ci parla Ratzingher.
Un uomo scendeva da Gerico e incappò nei ladroni che lo derubarono e lo percossero lasciandolo a terra in fin di vita. Passò di lì un sacerdote lo vide e andò oltre. Andava forse nel tempio a dare a Dio il culto che gli è dovuto, era impegnato nella dimensione ascendente dell’amore. Passò di lì un samaritano, lo vide, si fermò, fasciò le sue ferite, lo affidò ad un albergatore perché lo curasse e garantì che avrebbe pagato al suo ritorno. Ecco il senso dell’amore discendente di cui ci parla il Magistero della Chiesa con Benedetto XVI ed in particolar modo con Papa Francesco che si fa apostolo delle periferie, degli emarginati.
Non facciamo dunque comunione nello spirito del Vangelo quando manifestiamo la nostra philia sedendo a mensa con il ricco Epulone. Il nostro eros si trasforma in agape solo se accogliamo Lazzaro alla nostra tavola con la consapevolezza che le piaghe di Lazzaro sono le piaghe di Cristo. Credo che questo sia l’amore discendente di cui ci parla Benedetto XVI e di cui madre Teresa di Calcutta ci ha dato un esempio luminoso.
Mi chiedo, qualora dovessimo affrescare oggi la volta della Confessio (Cripta) della nostra Cattedrale, se accanto al beato Giovanni XXIII, al santo Papa Woitila, troverebbe posto anche l’immagine di papa Francesco che propone di accogliere in nome della maternità misericordiosa della Chiesa anche i nuovi poveri naufraghi dopo che la barca della loro famiglia é affondata nel mare tempestoso della complessa modernità? Forse nello stesso mare tempestoso, nel buio della notte é a rischio anche la barca della Chiesa dove i discepoli di Gesù attendono impauriti il maestro che si attarda a pregare sul monte mentre la loro barca sotto l’enorme peso dei loro dubia rischia di affondare.
Riusciranno i coniugi in difficoltà e gli apostoli dubbiosi del nostro tempo a riconoscere oggi in papa Francesco il Cristo che cammina leggero sulle acque agitate dal vento e viene in loro soccorso dicendo con paterna comprensione non abbiate paura, Io sono? Riuscirà la Chiesa a salvare la famiglia iscatolandola in una visione dogmatica rigida ed astorica? Riuscirà la Chiesa a svolgere il suo servizio all’uomo rimanendo prigioniera di una logica umana immutabile che per mancanza di autentica fede misconosce le risultanze di un santo Concilio che attinge alla Sapienza di Cristo Via, Verità e Vita?
Certo la Chiesa oggi, gravemente ferita nella sua Comunione, é come la donna emorroissa del Vangelo di Marco. Mi pare utile richiamare la profetica catechesi del Cardinale Martini dal titolo “Il lembo del mantello” la donna esausta per le sue emorragie, abbandonata perché considerata impura dalla tradizione ebraica, con sforzi inauditi, cerca di farsi largo nella folla perché è convinta che se riuscirà a toccare le vesti di Cristo sarà risanata.
Noi condiocesani di questa storica Chiesa locale, noi che nel prefazio invochiamo San Canio Vescovo e Martire e che annualmente portiamo a spalla il suo simulacro a benedire questa sofferente modernità ci sentiamo impegnati come ci suggeriva personalmente il Cardinale Martini a mantenere salde le nostre tradizioni cristiane e a proporle oggi come segno di speranza agli uomini del nostro tempo a patto però che ci sforziamo di fare Comunione fra di noi nel nome di Cristo. Il problema é riconoscere oggi il vero volto di Cristo perché le nostre incomprensioni che riducono la nostra capacità di amore reciproco nascono dal fatto che noi oggi non abbiamo riconosciuto Cristo e quindi siamo incapaci di amarlo e di fare autentica Comunione con Lui nella famiglia come nella chiesa.
IL VERO VOLTO DI CRISTO
Nella Cripta della nostra Cattedrale ci sono sul basamento delle colonne due bassorilievi in pietra che rappresentano Cristo. Una di queste immagini rappresenta il Cristo dei quattro soli. Con l’umanesimo é stato eretto un tempio alla dignità dell’uomo, tempio che l’illuminismo poi ha dedicato alla dea ragione. L’antropologia divorzia dalla teologia e pretende di spiegare con la scienza il mistero della creazione, le origini dell’uomo e relega la teologia nel ruolo del mito come intuizione prelogica e irrazionale. Nella seconda metà del XVII secolo un sacerdote, Giuseppe Agnelli, scrisse un ampio manuale a scopo catechetico che aveva come tema appunto Cristo e i quattro soli, dove il sole é simbolo dell’illuminazione, lo scopo della pubblicazione era: formare alla luce delle eterne verità della fede i parrocchiani della città (dotati di cultura e buona educazione civile) perché osservassero i precetti ad essi imposti dal sacro concilio di Trento. Qualche anno più tardi l’icona del Cristo e i quattro soli divenne un simbolo esoterico fatto proprio dalla massoneria. Personalmente sono portato a pensare che l’artista che realizzò questo profetico bassorilievo lo ha realizzato in ossequio e/o in reazione alla cultura che si andava strutturando nel suo tempo. Averlo posto in una chiesa poi equivale ad affermare con forza la necessità di una relazione inscindibile tra le scienze umane e le meditazioni teologiche. Questa relazione e/o comunione non si realizza mortificando l’una per affermare l’altra esse infatti si alimentano ad un’unica fonte e sono destinate ad unico fine; nascono da un unico atto provvidenziale di Dio, la creazione e sono finalizzate a realizzare in Cristo la salvezza dell’uomo e nell’affermare la gloria di Dio.
Un secondo bassorilievo ci presenta una delle più antiche immagini della sindone, rappresenta il Cristo morto nel sepolcro. Questa immagine non ci parla della morte vittoriosa sul Cristo, infatti la Resurrezione come testimoniano le Sacre Scritture era stata annunciata già nell’Antico Testamento. Questa immagine è l’icona della più alta dignità dell’uomo in Cristo in quanto la sua volontà é perfettamente allineata con la volontà del Padre. L’epifania di questa nuova umanità sarà manifesta con la Resurrezione e celebrata nella Chiesa con la discesa dello Spirito Santo, quando la Chiesa uscirà dal cenacolo e annuncerà a tutti gli uomini che Cristo é il nuovo Adamo e la Chiesa è la nuova Eva madre di tutti i viventi nella fede.
Questa é dunque l’immagine autentica del Cristo alla quale Gesù stesso fa riferimento nella prima celebrazione eucaristica dell’ultima cena. Ѐ evidente che questa icona è comunque un’immagine scolpita sulla pietra e che il riferimento eucaristico é quello di Cristo morto e sepolto, quello che le pie donne cercano di buon’ora all’alba per fare le ultime pietose onoranze funebri ma che non troveranno perché nel frattempo Cristo sarà risorto. Questo é il Cristo nel quale la Chiesa, suo corpo mistico, ci accoglie come membra viventi alimentate dal Sangue che il cuore di Cristo ci invia pulsando nell’amore di Dio Padre e dello Spirito Santo, affinché le membra del suo corpo mistico siano alimentate fino alla sua seconda venuta quando la Chiesa militante risorgerà e sarà ammessa a partecipare alla vita di Cristo nella gloriosa Epifania della santissima Trinità. Ma nel XVI secolo quale delle due immagini di Cristo rappresentate nella Cripta sarà riconosciuta come autentica immagine di Cristo?
Non c’é ombra di dubbio non é il Cristo nella gloria, é l’immagine dell’ecce homo della sindone.
NON ENTRI CHI NON Ѐ GEOMETRA
Per provare a trarre qualche conclusione credo sia necessario porsi qualche altra domanda. É lecito al laico che non ha nella teologia il suo proprium meditare e socializzare la propria meditazione sui misteri di Cristo all’interno della Chiesa intesa come Tempio e come Famiglia di Dio?
Ricordo con tenerezza le prime esperienze pastorali del novello sacerdote Don Giuseppe Nardozza quando prima di celebrare la santa Messa vestito dei paramenti liturgici si faceva trovare dai fedeli alla porta della Cattedrale in atteggiamento di gioiosa accoglienza.
Don Mario Festa aveva definito la Cattedrale come un fiore sulla roccia. Un fiore si apre alla luce del mattino, attira l’attenzione su di se con i suoi colori, invita ad entrare nel suo gineceo con il suo profumo, poi si chiude la sera al sopraggiungere delle tenebre. Il fiore pur nella sua delicatezza e vulnerabilità non ha paura: é la potenza irresistibile della vita, é l’espressione della Fiducia e della Speranza.
Certo io non sono geometra non ho diritto di attribuire a queste mie meditazioni il sigillo dello Spirito Santo, tuttavia sento che questa mia meditazione é preghiera, una voce che consapevole della sua finitudine interpella il suo Dio perché nella sua misericordia egli mi manifesti il suo amore e si prenda cura di me e custodica nel suo Amore tutti quanti alimentano la propria fede e la propria speranza alla luce del Magistero della Chiesa.
Oggi si tende a dire negli ambienti della città di Dio che la città degli uomini é scristianizzata, oso pensare che, per quel che di vero c’é in questa affermazione (che per la verità risente di un atteggiamento depressivo), che ciò sia dovuto alla sovrabbondanza di prediche nella chiesa di pietra e alla poca preghiera nella Chiesa, quella dello spirito, poca meditazione, nel popolo di Dio. La Verità non é nell’esprite de geometrie ma nell’esprit de finesse .
LA CATTEDRALE COME LUOGO DI PREGHIERA.
La struttura architettonica dell’ingresso della Cattedrale ci obbliga a salire alcuni gradini poi ci accoglie un ampio spazio sul quale si eleva il protiro, che invita ad assumere il giusto atteggiamento spirituale prima di entrare. Varcata la porta esterna c’è un ulteriore spazio dove acclimatarsi nel clima sacrale .
Superata un altra porta troviamo l’acquasantiera dove ci segniamo con l’invocazione alla SS. Trinità e siamo già in preghiera. A questo punto ogni manifesto, panchetto con locandine, opuscoli costituiscono una distrazione.
L’EUCARESTIA
Nella famiglia tradizionale i giovani ritornando a casa dopo la messa domenicale salutavano “Ges Crist” e chi era in casa rispondeva “Semp”. Quasi sempre seguiva la domanda rituale dell’adulto: “ch’a ditt Ron Peppein” oppure : “hai fatt la comunione”?.
ORA ET LABORA
C’é una qualche relazione tra il fare cooperazione in una azienda produttiva e il fare comunione nella Chiesa? Quale di queste situazioni ammette un più ampio margine di libertà e di fecondità per le persone?
Mi rendo conto di non aver esaurito tutto quanto le pietre della nostra Cattedrale, nel loro misterioso linguaggio afono, possono raccontare a ciascuno di noi. In realtà nessuno mi ha costituito mediatore culturale tra la cattedrale e gli uomini del nostro tempo. Ciascuno potrebbe mettersi in paziente ascolto. Io non godo dell’esclusivo privilegio di sentire la sua voce. In realtà con questo mio scritto ho solo tentato di esprimere il mio profondo bisogno di Comunione nella mia famiglia ecclesiale perché, nel reciproco sostegno fecondato dall’amore di Cristo la Chiesa di Acerenza possa trovarsi pronta con la lampada della fede accesa al momento dell’arrivo dello Sposo.
Io, è bene ribadirlo, non sono geometra, sono solo un povero cireneo che ha avuto il dono di comprendere che sulla via del Calvario non porto sulle mie spalle la croce di Cristo, ma solo la mia croce che mi incava le spalle con il peso delle mie debolezze. In realtà la Cattedrale è lo spazio mentale della via crucis nella speranza che l’affidamento filiale a San Canio (alla Chiesa) e all’Assunta in cielo possa aprirmi la porta verso la resurrezione con Cristo.
Questa speranza é garantita dalla fede che sola può trasformare ogni vano soliloquio retorico in profonda convinzione interiore che l’unica possibilità di fare Comunione é affidarsi come figli alla misericordia del Padre.