Guardare un’opera d’arte significa ricrearla. Significa in qualche modo vedervi riflessa la propria immagine. Percepire lo sforzo di un’anima ancestrale che comunque ci appartiene, come fantasma profondo, l’anima di questo mondo che insieme stiamo vivendo e che fatica come nelle doglie del parto a prendere forma e corpo. Sì, perché nelle opere plastiche, nelle sculture di Ligrani c’è comunque una istanza di liberazione. Una o tante entità spirituali, che prendono corpo nel ferro, nel rame, nel legno, e vengono alla luce.
La scultura tradizionale presuppone l’azione dell’artista che, manipolando l’oggetto, con una operazione di sottrazione di materia, lo trasforma secondo una propria idea. Spesso l’uomo resta attonito di fronte alle trasformazioni che un oggetto subisce per effetto di forze endogene della natura.
Non vorrei qui scomodare Ovidio che ci offre suggestioni di grande fascino. In Lucio Apuleio la metamorfosi può caratterizzarsi, se operata da spiriti maligni, come corruzione di una forma superiore in una forma inferiore, tale è appunto la trasformazione di Lucio in asino, ma quell’asino poi, per intervento divino (misericordia isiaca), tende a riacquistare forma umana.
Così Giuseppe Ligrani raccoglie materiali di scarto, che hanno già subito l’azione malefica di una corruzione per effetto degli agenti naturali e per colpa dell’uomo che li abbandona nell’ambiente. Così l’artista raccoglie rame e ferro arrugginito, legni derivanti da alberi caduti o abbattuti da mani blasfeme, li pulisce e libera in loro delle forme che tendono prepotentemente a manifestarsi. L’artista si pone a servizio di queste metamorfosi svolgendo un’azione maieutica.
Egli, nelle vesti del sacerdote di Iside, favorisce, con un lavoro discreto e rispettoso, l’epifania di forme, anime relitte, come la ninfa Partenope oggi sepolta sotto i rifiuti di Napoli. A queste forme che anelano alla luce Ligrani restituisce appunto luce e nuova vita.
Nel momento in cui abbandona i suoi manufatti nell’ambiente, l’uomo per Ligrani tradisce non solo l’ambiente ma opera una sorta di profonda frattura in se stesso come mostra questa scultura, una donna divisa, sepolta nelle viscere della terra. E’ forse anche la rappresentazione di Psiche addormentata per effetto di un sortilegio, di un peccato. E’ la bellezza imprigionata in una forma corrotta dall’abbandono.
C’è una sorta di animismo nelle sculture di Ligrani. Nei i visi e nei corpi che si stagliano in forme ancora indistinte da quei legni si manifesta l’anima, una sorta di diffusa sensibilità formale. La materia prima delle sculture di Ligrani, il materiale riciclato, ferro o legno, sia pure corrotta dalla ruggine, è materiale sempre vivo, dice l’autore, pronto a risorgere in una nuova luce per parteciparci nuove emozioni.
L’artista è Amore che opera il miracolo. Psiche rivivrà e fecondata da Amore darà vita a Voluttà, ossia principio vitale. L’arte è redenzione, resurrezione a nuova vita. Utilizzando materiali di recupero, secondo un’atavica tradizione della cultura africana, Ligrani restituisce alla nostra cultura ed all’arte nuova dignità civile.