Nel suo articolo “Il nibbio, uno dei più antichi elementi che caratterizzano l’identità di Acerenza”, Donato Pepe evoca la figura di Orazio “affascinato dal volo maestoso dei rapaci che allora come oggi solcano il cielo di Acerenza”. Altri autori latini furono interessati a questo nobile rapace. Ovidio nel descrivere una costellazione, narrò nei “Fasti” come il nibbio fu posto nel cielo stellato.
“Vi era un mostro che chi ne avesse bruciate le viscere poteva vincere gli eterni dei, Saturno l’uccise e già stava per darne le viscere alle fiamme quando Giove ordinò che le rapissero gli uccelli. Le portò il Nibbio che ebbe in premio il cielo”.
Questo elegante rapace ha un canto che si apre con un duplice fischio cui seguono brevi trilli acuti in sequenza tanto da somigliare a un nitrito. C’è una curiosa favola di Esopo intitolata proprio “il nibbio che nitriva”.
Il nibbio aveva un tempo una voce acuta, diversa da quella d’ora.
Poi, avendo udito un cavallo che emetteva dei magnifici nitriti,
volle imitarlo; e, ostinandosi in que¬sto esercizio,
a rifar bene il nitrito, non ci riuscì, ma perse la propria voce;
così non ebbe né quella del cavallo né quella che aveva avuto prima.
Gli uomini mediocri che, mossi dall’invidia,
cercano di imitare quello che è alieno dalla loro natura,
perdono anche le loro doti naturali.
Sempre Esopo nella favola “il nibbio e il serpente” ci presenta l’intrepido uccello alle prese con un serpentello che, per liberarsi dalle sue grinfie, lo morde costringendolo ad aprire il becco.
Invece, nella favola “Il topo e la ranocchia”, il nibbio si precipita dal cielo ad afferrare i due animaletti legatisi insieme per andare a caccia di cibarie.
Fedro nel “il nibbio e le colombe” enfatizza l’astuzia del nostro rapace.
“sfuggite erano al nibbio le colombe
Più volte, salve per le rapide ali;
ma il rapace ricorse alla menzogna.
Con questo inganno illuse le indifese:
perché vivere sempre incerte, inquiete,
invece di accordarsi e farmi re
perché io vi protegga da ogni offesa?
E si fidarono esse, gli si diedero.
E il nibbio re le divorava a turno,
le governava con gli artigli atroci.
Una scampata gridò: ci sta bene,
che affidammo la vita a un bandito!”
Il carattere diffidente del nibbio era noto a Plinio il Vecchio che lo descriveva come “un animale che non si avvicina molto all’uomo nemmeno in presenza di cibo”.
Per catturarlo nel medioevo fu escogitata un tipo di caccia che troviamo descritta nell’ottocentesco “Dizionario delle scienze naturali”. “Si attirava il nibbio per mezzo di un gufo reale che di giorno vola quasi raso terra. Il gufo veniva rivestito con la coda di una volpe per aumentarne le capacità di attrazione. Quando il nibbio si abbassava ad altezze accessibili gli si lanciava contro il falco. Tra i due rapaci avveniva una lotta spietata nella quale il falco aveva il sopravvento ritornando dal padrone con la preda”.
Leonardo da Vinci che fu un acuto osservatore del volo degli uccelli, nel Codice Atlantico al foglio 186v annotava: “Questo scriver si distintamente del nibbio par che sia mio destino, perchè nella prima ricordazione della mia infanzia e mi parea che, essendo io in culla, un nibbio venissi a me e mi aprissi la bocca colla sua coda e molte volte mi percotessi con tal coda dentro le labbra”.
Quattro secoli più tardi Sigmund Freud scriveva un saggio sul grande scienziato rinascimentale, intitolato “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci” . Il padre della psicoanalisi ipotizzava che, per Leonardo, il ricevere passivamente in bocca la coda del nibbio ricordasse la sua infanzia nell’atto della suzione al seno materno, ma anche un probabile atteggiamento passivo e femminile, anticipatore della futura omosessualità. La coda infatti per la psicoanalisi rappresentava un simbolo fallico.
L’articolo entusiasmò Jung che pare per primo intravide nel panneggio di un dipinto di Leonardo, Sant’Anna, la Vergine e il Bambino, il profilo del nibbio. Nel 1913 Un allievo di Freud , Ernest Jones, pubblicò un articolo in cui tratteggiava il profilo del nibbio nel dipinto di Leonardo.
Nel XX secolo, con l’inizio della campagna razziale, in Italia gli attacchi alla psicoanalisi, iniziati nel 1932, si fecero pressanti e nel 1938 in coincidenza con l’emanazione della legislazione antisemita si avviò la pubblicazione della rivista “La difesa della razza”.
Il fascicolo numero 5 uscì con un articolo dal titolo “Il pansessuali-smo di Freud” il cui autore, Prof. Domenico Rende , metteva in guardia il lettore dalla pericolosità della psicoanalisi e, riproponendo gli schizzi di Freud col tratteggio del nibbio, li giudicò “un esempio fra i più caratteristici del genio infantile e mistificatore del professore ebreo interprete di sogni”.
Il prof. Rende concluse l’articolo affermando che: “Il popolo italiano, fondamentalmente onesto, e, perciò, affetto, purtroppo, da un tradizionale semplicismo umanitario e cavalleresco non si accorge di certi pericoli, se non quando gliela fanno grossa, onde finora non si è accorto della pericolosità delle teorie del Freud, ed ha dato ad esse un’ospitalità che non meritavano. Ma il Regime Fascista curerà anche questa piaga”.
Angelo Schiavone