“Eppure qualcuno mi doveva ascoltare” di Aurelio Pace. Auditorium Acerenza. 18 gennaio 2020
Un clima culturale di livello alto. L’associare parole, musica e arte, una scelta vincente.
Le parole stasera non sono tasselli di un mosaico, lessico forbito, da esibire come abito firmato all’ammirazione degli astanti, ma voci colorate di emozione, magari di disagio, o semplicemente di gioia. Sono parole vere incarnate nel vissuto delle persone. Anche quelle dei fanciulli presenti che, talvolta rumorosi, sembravano rivendicare uno spazio, un bisogno di ascolto, ci richiamavano alla nostra responsabilità sul loro futuro.
All’uscita avrei voluto abbracciare quei bambini, ma forse li avrei spaventati, avrei voluto salutare Ligrani, tutti gli amici artisti, complimentarmi con il musicista. Si é parlato anche di fede. L’autore offre spunti di riflessione/meditazione molto interessati. Promuovere la fede oggi non significa mettere un predicatore in ogni angolo di strada, o dietro ogni microfono disponibile. Solo i testimoni sono in grado di contestualizzare l’evangelizzazione per una vera inculturazione della fede nella modernità dove vivono gli uomini d’oggi pur con le loro debolezze che non offuscano tanti preziosi talenti che la chiesa d’oggi, qui, fa molto fatica a valorizzare, io penso che una casa editrice, un libro ben fatto come questo può essere molto utile allo scopo.
All’uscitaa vrei voluto … ma sulla porta c’era ad attendermi mio figlio Gerardo, che non vuole che il suo papà trascuri la famiglia per disperdere le sue residue energie fisiche e mentali in relazioni intellettuali che, a suo modo di vedere, l’auditorium come spazio dialogico non é in grado di mettere a valore.
Stamattina a Genzano ho parlato con alcuni autori di Telemaco della tua idea di rilancio della funzione del libro sul territorio, c’é qualche mia perplessità da superare ma c’é in giro anche tanta disponibilità e tanto entusiasmo.
Oggi pomeriggio ho avuto un colloquio con l’arcivescovo (su altri temi per me vitali), non ho quindi avuto tempo per mettermi in contatto con te, pur avendoci provato, in verità. E’ necessario affinare qualche idea nella dimensione progettuale. Ci sentiremo a breve, la tua proposta mi mi piace. Per quanto riguarda la casa editrice io penserei a un consorzio fra le piccole, case editrici esistenti: piccole, ma a dimensione delle comunità in cui operano. Forse quello che serve è condividere i servizi di contabilità per le spedizioni, per il contatto con le librerie ecc, per le presentazioni dei libri da distribuire gratuitamente durante le riunioni. Per questo é assolutamente necessario sollecitare un aiuto delle istituzioni pubbliche a favore di un’associazione onlus senza scopo di lucro. Soprattutto va superato la pretesa autosufficienza tra le iniziative imprenditoriali nel settore culturale per mettere a nudo il pregiudizio secondo il quale la cultura non da pane. A veder bene di per sé la cultura difficilmente fa economia ma dà qualità alla vita, alla relazione; fa civiltà, e la civiltà produce benessere, scusa se é poco.
Forse ti aspettavi un commento sul libro. L’ho letto con molto interesse più volte. E’ un libro da presentare e diffondere anche nelle nostre comunità ecclesiali. Il tuo protagonista, Agostino, é un popolano evangelizzato in una famiglia cristiana. Certo tu l’hai ribadito la vita é un valore non disponibile per una sceltà di fraintesa libertà. Ma Agostino non é un suicida. E’ un uomo gravemente ammalato di solitudine. Egli é piuttosto vittima di un omicidio.
Lo ha ucciso la società con l’emarginazione, la condanna ingiusta, il pregiudizio sociale. Agostino recitava il rosario, chiedeva una immagine della Madonna del Carmelo, perché sentiva il bisogno di rifugiarsi sotto il suo manto, gli é stata data una pagina strappata con una immagine sgualcita della Madonna della neve. La neve che ha ucciso suo padre ha ucciso anche lui. La neve é fredda come una comunità ecclesiale senza l’afflato dell’amore, della inclusione. Eppure qualcuno avrebbe dovuto ascoltarlo.
Con affetto.
Donato Pepe